Intestazione

Il grande vuoto

Testo

Anne-Sophie Keller, Ralf Kaminski

Pubblicato

10.12.2020

Il regista Ivan Engler guarda da una finestra

Sono circondate dalla vita ma si sentono comunque sole: quattro persone raccontano di come gestiscono la propria solitudine. Roger Staub, direttore della fondazione Pro Mente Sana, spiega inoltre perché è importante lottare contro questo disturbo molto diffuso.

In realtà Engler ha tutto per essere felice: è un regista di bell’aspetto, ha una relazione affettiva soddisfacente ed è ben inserito in un ampio contesto sociale. Originario di Winterthur, non ha certo bisogno di ricevere conferme esterne. Tuttavia, ci sono momenti in cui tutto ciò non ha alcuna importanza:

«Spesso dubito di me stesso. Mi sento solo e metto tutto in discussione Ho ancora amici? Mi interessano? Cosa hanno da dirmi? Mi apprezzano? In quei momenti provo una grande paura», confessa il 49enne. Le fredde giornate del coronavirus hanno fatto sì che in autunno sviluppasse i sintomi di una depressione: «A volte al mattino mi mettevo a piangere».

Per Engler la solitudine è al tempo stesso anche un’alleata e una musa. «Solo quando ho spazio per me riesco a scrivere. È nella solitudine che nascono i miei personaggi, che diventano poi i miei compagni». Tuttavia, questa sensazione logorante, fredda e vuota è talvolta difficile da sostenere. «In un’epoca in cui siamo così connessi virtualmente, spesso si ha l’illusione di poterla far sparire attraverso una conferma fittizia fatta di like. Ma tutto questo non è reale».

Un terzo della popolazione si sente spesso sola

Engler è l’unico ad aver voluto che qui fosse riportato il suo nome. Lo stigma della solitudine è ancora grande: sono i «perdenti» a sentirsi soli, quelli che non hanno amici e che non sono integrati. È questo il pregiudizio. Tuttavia, dagli studi emerge che ben un terzo della popolazione svizzera si sente spesso sola: uno stato d’animo che non è facile da superare. «Per farlo serve l’empatia delle altre persone», afferma il regista. «Oppure un’ancora: per molti è la religione, una passeggiata nella natura o un animale domestico».

Engler si definisce un uomo del fare. Quando non si sente bene, allora prepara una torta e chiede su Facebook se qualcuno vuole passare a prenderne una fetta. «Lenisco la mia solitudine mitigando quella degli altri. Condividere la propria paura può essere utile».

«Per lungo tempo mi sono tormentato pensando di essere l’unico a sentirmi così», racconta anche Y. S. di Sciaffusa. Oggi ha 23 anni, e già da teenager si sentiva spesso solo. «Non riuscivo però a parlarne con le persone che mi stavano intorno». Solo quando una compagna di scuola gli ha confessato di provare sentimenti simili, ha realizzato di non essere il solo: «In quel momento mi sono anche reso conto che potevo cambiare qualcosa».

Assieme a una psicologa, Y. S. è riuscito a trovare un rapporto sano con le sue emozioni. Questo percorso è cominciato cercando i motivi di questo stato d’animo: «Ero il piccolo di casa, tutto ruotava sempre attorno a me. Ho ricevuto tanta attenzione e amore da non dover imparare a bastare a me stesso». Mentre un tempo opponeva resistenza alla solitudine, oggi sa anche accettarla.

In una seconda fase della terapia, ha appreso strategie per gestire questa sensazione: «La sera annoto le esperienze positive della giornata. Mi chiedo cosa mi ha dato gioia e forza».

Spesso dormirci su aiuta

In questi momenti prende consapevolezza del fatto che la solitudine nasce soprattutto nella sua testa: «È utile rimanere obiettivi. Penso che ho dei genitori che per me ci sono. Che ho compagni che abitano vicino a me da cui posso passare. E che ho scelto io di vivere da solo».

Se tutto questo non serve, allora aiuta dormirci su: «Il giorno dopo tutto generalmente sembra già meglio. Dopo essermi riposato sono meno sensibile ai sentimenti negativi».

Un partner potrebbe aiutare? «Per lungo tempo credevo che le brutte sensazioni sarebbero sparite con un partner. Ma anche in una relazione ci si può sentire molto soli».

Offerte contro la solitudine

Il Percento culturale Migros promuove la condivisione di esperienze: unisce persone della stessa regione per cucinare insieme, raccontare storie o visitare i musei in tandem.

Tavolata: oltre 500 gruppi in tutta la Svizzera si incontrano regolarmente per cucinare e mangiare assieme. Molti accolgono ospiti e sono aperti a nuovi membri. Non resta che contattare la Tavolata più vicina! 

Un Caffè narrativo offre l’opportunità di conoscere nuove persone. Un gruppo eterogeneo si confronta su esperienze e ricordi di vita. Ogni storia viene ascoltata!

Tandem nel museo (TaM) si rivolge a tutti coloro i quali amano andare al museo, preferibilmente in due. Chi ne ha voglia può contattare una delle 35 guide TaM in tutta la Svizzera. 

Tramite conTAKT-museum.ch uomini e donne che sono fuggiti dalla loro patria entrano in contatto con la popolazione locale. Visitando insieme un museo, persone con diverse culture imparano a conoscersi e a capirsi.

Per gli eventi si applicano piani di protezione contro il coronavirus che prevedono l’obbligo di indossare la mascherina o limitazioni nel numero di partecipanti.

Da soli insieme. Una sensazione che C. W. Di Zurigo conosce bene: 25 anni, studentessa, lavora anche come insegnante e ha una relazione di lunga data. Passa tutta la giornata fra la gente ed è dunque tutt’altro che sola. Tuttavia è proprio questa la sensazione che si insinua in lei. «Ci sono giorni in cui piango come una bambina piccola».

La sua solitudine nasce quando si sente incompresa. «Quando ho l’impressione che il mio interlocutore non comprenda le mie preoccupazioni o le mie paure mi sento come se fossi sbagliata. È un vero colpo al cuore», racconta la 25enne.

Nonostante in questi momenti tutto sia contrassegnato dalle emozioni, prova un grande vuoto e si ritrae. Da bambina questa situazione le toglieva il terreno da sotto i piedi, oggi è in grado di filtrare meglio queste sensazioni: «Sul lavoro va bene, ma nelle relazioni personali è ancora difficile. E non voglio nemmeno che certe cose smettano di toccarmi nel profondo».

Accettare la sensazione di solitudine e parlarne è difficile per lei. «Ma la solitudine cresce proprio attraverso il silenzio. È un circolo vizioso». C. W. si augura che il tema della salute mentale assuma una maggiore rilevanza a livello sociale. «È importante per farci stare bene. Specialmente ora con il coronavirus è molto evidente che i contatti sociali preservano anche la nostra salute mentale».

Inoltre, auspica più solidarietà: «In famiglia e con gli amici si stringono relazioni strette, ma già con i vicini non c’è alcun legame». E una cosa è chiara: anche i vicini della casa di fronte a volte si sentono di certo soli.

«Il tempo che trascorro da solo mi sembra perso. Non ce la faccio a cucinare qualcosa per me, o a trascorrere un fine settimana senza compagnia», racconta O. S. di Zurigo. «Andare da soli a un concerto è un comportamento stigmatizzato. Ah, non hai proprio trovato nessuno? Non hai amici? Essere soli è considerato qualcosa di estremamente negativo», afferma il 27enne.

Contano i piccoli passi

Anche lui ha una relazione ed è soddisfatto a livello professionale. Il fatto di vivere in una città piena di persone non rappresenta necessariamente un vantaggio per lui: «Spesso ho la sensazione di perdermi qualcosa. Due settimane fa volevo godermi un weekend tranquillo e ho passato un sabato sera da solo. Non sapevo che fare». All’improvviso tutto ha rallentato. «Sono diventato irrequieto, ma al tempo stesso anche passivo», afferma descrivendo il suo stato d’animo.

In questo momenti, secondo lui contano i piccoli passi. «Per esempio, riprendersi e prepararsi qualcosa di buono da mangiare». Ammettere che vada bene fare le cose anche da soli è un processo che per lui non è ancora finito. «Mi ha aiutato accettare l’idea che non sono ancora al punto in cui voglio essere. E che è ok darsi il tempo per farlo». 

Ritratto di Roger Staub, direttore della fondazione Pro Mente Sana

Roger Staub (63) è il direttore della fondazione Pro Mente Sana

«Fa male quanto alcol, fumo e sovrappeso messi insieme»

Roger Staub, una persona su tre in Svizzera si sente – più o meno spesso – sola: uno stato d’animo che interessa in particolare giovani, anziani e persone immigrate. Un valore davvero elevato... 

...lo crediamo anche noi. Tanto più che la Svizzera è uno dei Paesi più ricchi e felici al mondo. L’aspettativa di vita chi soffre di solitudine si riduce di 10-20 anni: sentirsi soli fa male alla salute come alcol, fumo e sovrappeso messi insieme.

Perché ci sono tante persone sole?

Il loro numero è nettamente aumentato negli ultimi decenni. Un motivo importante è la nostra società orientata alle performance. Solo chi ha un lavoro ne fa parte: o si produce o si è un anello debole. Giovani, anziani, migranti ed emarginati possono quindi rapidamente trovarsi a soffrire di solitudine. Non aiutano poi il crescente individualismo e la tendenza all’autorealizzazione, che rafforzano l’egoismo, che a sua volta può da un lato promuovere la solitudine e dall’altro ridurre l’empatia verso le altre persone. In Svizzera, inoltre, circa 1,3 milioni di persone vivono in economie domestiche con un solo componente. E il trend è crescente. Di conseguenza, aumenta il rischio di soffrire di solitudine perché i contatti sociali vengono a mancare o sono resi più difficili dalle circostanze.

Il coronavirus ha aggravato il problema?

Senza dubbio. Alcuni si isolano perché hanno effettivamente paura del virus. Altri prendono troppo seriamente la comunicazione delle autorità, improntata su distanziamento sociale e invito a rimanere a casa. Molti hanno seguito alla lettera queste indicazioni rimanendo soli anche quando si trattava solo di evitare gli assembramenti e rispettare le distanze. 

Chi soffre di solitudine si sente un po’ meglio pensando che molte persone sono sulla stessa barca?

«Mal comune mezzo gaudio», intende? Credo di no. Vi sono tuttavia degli effetti psicologici positivi: nessuno deve preoccuparsi di perdere qualcosa di emozionante, semplicemente perché non succede nulla. Si può dunque tranquillamente stare a casa e leggere un libro.

Il coronavirus semplifica la vita alle persone sole in periodi come l’Avvento?

Forse per alcuni quest’anno il periodo prima di Natale è più sopportabile perché anche la maggior parte delle altre persone non può incontrarsi come di consueto con amici e famigliari, ma i mesi bui e freddi colpiscono in ogni caso lo stato d’animo di molta gente. Il miglior regalo, quest’anno, è avvicinarsi a persone che non stanno bene. In particolare chi soffre di solitudine trae beneficio dal fatto che la gente gli rivolga la parola e dimostri interesse.

Anche le persone circondate dalla vita si sentono ogni tanto sole. Da cosa deriva questa sensazione?

Chi crede di non ricevere l’attenzione e la stima che merita può sentirsi solo. Così come chi si ritiene incompreso nelle proprie opinioni o nei propri sentimenti. Mi sembra decisivo l’amor proprio: quanto più si riesce ad amare sé stessi, tanto più si è psicologicamente stabili.

Cosa si può fare quando ci si sente soli?

Cercare di riprendersi e contattare famigliari, colleghi o amici. Se non si ha proprio nessuno, è consigliabile partecipare a un gruppo di auto-aiuto o ricorrere a una consulenza psicologica. Frequentare associazioni o altri luoghi di incontro può essere duro perché andare da soli in un posto dove tutti si conoscono rappresenta un grande ostacolo. Ma magari si può trovare qualcuno che ci accompagni.

In cosa potrebbe migliorare la società?

Potrebbe promuovere integrazione e inclusione, per es. attraverso abitazioni multigenerazionali o case di riposo costruite non in periferia ma in centro. All’autorealizzazione potrebbe essere opposto un modello basato sulla promozione della convivenza sociale. È difficile essere felici da soli, anche se ci si realizza con successo. Stare insieme è meglio. Ed è più divertente.

 

Pro Mente Sana offre consulenza al numero di telefono 0848 800 858 così come all’indirizzo promentesana.ch. Anche su inclousiv.ch si può trovare supporto.

Foto/Scena: Mali Lazell